Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello, pubblicato
anche con il titolo Così dolce, così innocente
Autore: Shirley Jackson
Pagine: 182
Anno: 2009
Trama: "A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno
di alzare la voce"; con questa dedica si apre "L'incendiaria" di
Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la
diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive
reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella
Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro
passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se
non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti
avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E
quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles),
si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia
sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una
commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto
da vicino i "brividi silenziosi e cumulativi" che - per usare le parole
di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo "La
lotteria". Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma
maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai
'cattivi', ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli
miracoli di follia.
Recensione: Il Male si nasconde dietro l’innocenza di una
ragazza, dietro il suo evidente disagio mentale, un Male che colpisce tutto. Un
piccolo appunto prima di cominciare: questo è un romanzo che non sono riuscita
a comprendere completamente. Le premesse sono buone, un castello, due sorelle
che nascondono un segreto, un paese che le odia, ma poi la storia si perde. Mi
è piaciuta l’idea del Male si nasconde dietro l’innocenza di una ragazza,
dietro il suo evidente disagio mentale, un Male che colpisce tutto, che
colpisce una famiglia apparentemente perbene. Mary Katherine è chiaramente
malata, ma nemmeno Costance, a parer mio, è del tutto sana, soffre di
vittimismo, preferisce vivere in una casetta isolata, vivere ogni giorno
laddove sono morti i genitori e il fratello piuttosto che intraprendere una
vita vera, non cerca nemmeno di aiutare la sorella, semplicemente la difende,
senza però permetterle di fare una cura. Gli abitanti del villaggio poi sono
orribili, sono chiusi nel loro piccolo mondo e odiano senza un reale motivo la
famiglia dei Blackwood ( che non ha mai danneggiato il villaggio, al massimo li
si può accusare di aver danneggiato se stessi). Infine il finale non è
soddisfacente, in pratica non si risolve nulla, non c’è un vero finale, e alla
fine della storia la situazione delle due sorelle è addirittura peggiorata.
Citazioni:
Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito
con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna
potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l'anulare della stessa lunghezza,
ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie
passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita
Phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.
Fuori c'erano il castagno di Constance, l'ampia distesa
erbosa e il giardino di Constance, e più in là l'orto di Constance, e, ancora
più in là, gli alberi che ombreggiavano il ruscello. Quando eravamo sedute sul
prato nessuno al mondo poteva vederci.
Voto: 6
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