giovedì 23 giugno 2016

Se tu mi dimentichi

Se tu mi dimentichi di Pablo Neruda
Bellissima poesia d'amore di Pablo Neruda.

Voglio che sappia
una cosa.

Tu sai com'è questo:
se guardo
la luna di cristallo, il ramo rosso
del lento autunno alla mia finestra,
se tocco
vicino al fuoco
l'impalpabile cenere
o il rugoso corpo della legna,
tutto mi conduce a te,
come se ciò che esiste,
aromi, luce, metalli,
fossero piccole navi che vanno
verso le tue isole che m'attendono.

Orbene,
se a poco a poco cessi di amarmi
cesserò d'amarti a poco a poco.
Se d'improvviso
mi dimentichi,
non cercarmi,
ché già ti avrò dimenticata.

Se consideri lungo e pazzo
il vento di bandiere
che passa per la mia vita
e ti decidi
a lasciarmi alla riva
del cuore in cui affondo le radici,
pensa
che in quel giorno,
in quell'ora,
leverò in alto le braccia
e le mie radici usciranno
a cercare altra terra.

Ma
se ogni giorno,
ogni ora
senti che a me sei destinata
con dolcezza implacabile.
Se ogni giorno sale
alle tue labbra un fiore a cercarmi,
ahi, amor mio, ahi mia,
in me tutto quel fuoco si ripete,
in me nulla si spegne n‚ si oblia,
il mio amore si nutre del tuo amore, amata,
e finché tu vivrai starà tra le tue braccia
senza uscir dalle mie.

lunedì 20 giugno 2016

SONETTO XXVII

SONETTO XXVII di Shakespeare
A seguire un sonetto di William Shakespeare in cui il poeta descrive il suo tormento: né di giorno né di notte può avere riposo, visto che di giorno deve viaggiare e di notte non può fare a meno di pensare alla persona amata.

Sfinito dalla fatica, mi affretto al mio letto,
il caro riposo per le membra stanche del viaggio;
ma allora un altro viaggio mi comincia nella testa,
e lavora la mia mente, quando è finito il lavoro del corpo.

Allora i miei pensieri, di là lontano dove mi trovo, 
verso di te fanno un devoto pellegrinaggio,
e tengono spalancate le mie palpebre pesanti,
a guardare la tenebra che vedono i ciechi. 

Senonché la vista immaginaria della mia anima, 
presenta al mio sguardo cieco la tua ombra,
che, come un gioiello appeso alla notte spettrale, 
fa la nera notte bella e il suo vecchio volto nuovo. 

Così di giorno le mie membra, di notte la mia mente, 
per causa tua, e mia, non trovano quiete.

giovedì 16 giugno 2016

Bellezza

Bellezza di Antonia Pozzi
La bella poesia di una scrittrice poco conosciuta.
Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle – bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.
Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi –
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido – della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo –
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette.

lunedì 13 giugno 2016

Ode al giorno felice

Ode al giorno felice di Pablo Neruda
Un inno  ad un giorno felide, senza preoccupazioni e avvenimenti negativi.

Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.
Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.

giovedì 9 giugno 2016

L'ospite

L'ospite di Sarah Waters

Titolo: L’ospite

Autore: Sarah Waters

Anno: 2009

Pagine: 544

Trama: Hundreds Hall, l'antica dimora di campagna della famiglia Ayres: varcarne i cancelli dopo trent'anni è un momento di grande trepidazione per il dottor Faraday, lui che ancora bambino, nel lontano 1919, ne aveva ammirato con occhi sgranati lo sfarzo e lo splendore. Quel passato, tuttavia, è ormai un vago ricordo: i suoi abitanti - la vedova del Colonnello Ayres e i figli Roderick e Caroline - sono, infatti, impegnati in una disperata battaglia per salvare dalla rovina se stessi e la casa. Ma proprio quest'ultima sembra gettare le ombre più funeste sul futuro: stanze che di colpo diventano trappole, pareti da cui emergono sussurri malevoli e segni inquietanti, un devastante incendio notturno. Chi, o che cosa, c'è dietro questi eventi? Quale mistero grava sul destino degli Ayres? Ma, soprattutto, fino a che punto si spingerà la minaccia? Sarah Waters si confronta con un classico tra i generi letterari, la ghost story, e lo rinnova assottigliando il confine tra sovrannaturale e psicopatologico.

Recensione: Devo ammetterlo, all'inizio questo romanzo non mi aveva colpita. La prima parte l’ho trovata dispersiva, priva di eventi particolarmente interessati, nulla oltre la descrizione del declino di una famiglia nobile e ricca, di cui restano ormai solo tre membri, rintanati nella loro villa che mostra tutta la loro condizione. Questo ho pensato all'inizio. Per fortuna ho continuato a leggere e alla fine questa storia non mi ha delusa, perché sembra esserci davvero qualcosa a Hundreds Hall, un fantasma forse? Magari lo spirito della primogenita morta ancora bambina per difterite? Oppure è qualcosa di più umano? L’inizio di tutto è la festa organizzata dalla signora Ayres per riaprire il salone e soprattutto nel disperato tentativo di trovare un marito alla figlia. Da quel momento in avanti la follia sembrerà prendere possesso della mente degli abitanti della casa, trascinandoli fino al terribile e ambiguo finale, del quale darò una mia personale interpretazione al fondo della recensione per evitare spoiler. Chi ci racconta le vicende è un medico, Faraday, legato alla casa da ricordi d’infanzia, un racconto all'apparenza razionale. Un bellissimo romanzo e vi troverete a guardare nel buco della serratura insieme alla signora Ayres mentre un’inquietante figura passerà davanti. Vero o falso? Non vi resta che leggere e dare la vostra personale interpretazione a questa storia.

Voto: 9

Spoiler









Vorrei dare la mia personale interpretazione sul finale: la morte di Caroline. Secondo me il principale sospettato è il dottor Faraday. Infatti lui dichiara di essersi addormentato nel momento in cui la ragazza moriva. Inoltre al processo immagine la scena della morta, descrivendo lei che sale le scale, richiamata da una voce, e gli occhi pieni di paura quando comprende il proprio destino. Ultimo dettaglio: alla fine del romanzo il dottore si volta pensando di scoprire finalmente la misteriosa presenza e specchia su un vetro della casa.

lunedì 6 giugno 2016

Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi

Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi
Altra bella poesia di Emily Dickinson sul dolore e l'altruismo.

Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi
Non avrò vissuto invano 
Se potrò alleviare il Dolore di una Vita 
O lenire una Pena
O aiutare un Pettirosso caduto 
A rientrare nel suo nido
Non avrò vissuto invano.

giovedì 2 giugno 2016

Il passato

Il passato
Poesia di Emily Dickinson a parer mio molto veritiera. Cosa c'è di più bello e allo stesso tempo di più brutto del passato? Sede delle nostre gioie e dei nostri dolori, tanto pericoloso da poterci addirittura uccidere, perché il passato alla fin fine non ci dimentica mai e affrontarlo può essere molto difficile.

E’ una curiosa creatura il passato
Ed a guardarlo in viso
Si può approdare all’estasi
O alla disperazione.
Se qualcuno l’incontra disarmato,
Presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
Possono ancora uccidere!

lunedì 30 maggio 2016

I figli

I figli
A chi appartengono i nuovi nati? Appartengono ai propri genitori oppure al futuro? Khalil Gibran sostiene, in questa affascinante poesia, che i figli non appartengono a chi li ha messi al mondo, ma all'avvenire. Compito dei genitori è custodirli fino a quando il mondo non li reclamerà. Inutile tentare di farli assomigliare a loro, perché a loro in realtà non appartengono.

I tuoi figli non sono figli tuoi.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore,
ma non le tue idee.
Perché loro hanno le proprie idee.
Tu puoi dare dimora al loro corpo,
non alla loro anima.
Perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire,
dove a te non è dato di entrare,
neppure col sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro
ma non volere che essi somiglino a te.
Perché la vita non ritorna indietro,
e non si ferma a ieri.
Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani.

giovedì 26 maggio 2016

Il più bello

Il più bello
Adoro questa poesia di Nazim Hikmet, a parer mio è un invito alla speranza, perché le cose più belle della nostra vita non le abbiamo ancora vissute. Forse è anche un affermare che in fondo l'attesa è meglio del fatto in sé, perché durante l'attesa possiamo immaginare tutto ciò che vogliamo.

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.

lunedì 23 maggio 2016

Lentamente muore

Lentamente muore di Pablo Neruda
Celebre poesia di Pablo Neruda in cui c'è un invito a vivere a pieno la propria vita, anche a fare qualche pazzia ogni tanto, perché altrimenti la vita diventa soltanto un'attesa della morte e perde il proprio senso.

 Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

giovedì 19 maggio 2016

Ritratto di un assassino

Ritratto di un assassino, chi era Jack lo Squartatore?




Titolo: Ritratto di un assassino
Autore: Patricia Cornwell
Anno: 2002
Pagine: 389
Trama: Patricia Cornwell, da sempre interessata al caso di Jack lo Squartatore, il serial killer che nel 1888 uccise brutalmente cinque donne nella nebbia della Londra vittoriana, ricostruisce la morbosa psicologia di una mente criminale e dà nome e volto al colpevole. Sarebbe il pittore impressionista Walter Sickert, inesorabilmente riportato in vita per rispondere dei suoi crimini,prova dopo prova. Il libro è la storia di un'indagine durata anni, che si legge come un romanzo.
Recensione: Il ritratto di quello che, secondo l’autrice, sarebbe stato Jack lo Squartatore: il pittore inglese Walter Sickert, famoso per aver dipinto quadri di donne nude in presenza di uomini vestiti. Il libro si fa leggere, è carino, ben scritto, anche se ci sono alcuni punti un po’ lenti. Sinceramente la Cornwell non mi ha convinto circa la colpevolezza di Sickert, le sue teorie non mi sembrano fondate su solide basi, ma molto astratte, okay, c’è la possibilità che il pittore fosse l’assassino, ma si può esserne davvero così sicuri? Sicuramente quest’uomo aveva dei problemi, ma da qui a identificarlo con lo Squartatore mi sembra un po’ avventato. Restano comunque delle dettagliate descrizioni su come si affrontava un caso d’omicidio a Londra a fine Ottocento e soprattutto sul panico che assalì la città quando Jack, chiunque fosse, iniziò a colpire. Un racconto da leggere per chiunque sia un appassionato di serial killer nella storia.


Voto: 7 e 1/2

lunedì 16 maggio 2016

La sestina dei vampiri

La sestina dei vampiri
 Bellissima poesia di Neil Gaiman che descrive la condizione del vampiro, essere che si muove di notte, isolato dal mondo, infelice e solo, alla ricerca di affetto, tanto da dare il proprio "dono" al suo amore, sperando che possa alzarsi dalla tomba e seguirlo alla ricerca del sangue. Non sempre però le sue amanti si svegliano e questo è proprio uno di quei casi e il vampiro, deluso, deve proseguire la sua caccia solitaria.

 Aspetto quì ai confini del sogno,
avvolto nelle ombre.L'aria buia sa di notte,
così fredda e rigida,e aspetto il mio amore.
La luna ha sbiancato la sua lapide.
Lei verrà e allora ci aggireremo in questo sciocco mondo
tornati alle tenebre e al richiamo del sangue.

E' un gioco solitario,la ricerca di sangue,
ma un corpo giovane ha il diritto di sognare
ed io non vi rinuncerei per niente al mondo.
La luna ha sbiancato l'oscurità della notte.
Resto nell'ombra,a fissare la sua lapide:
Risorgi,mio amore...Oh ! Risorgi ?
Ti ho sognata mentre dormivo e l'amore
mi è più caro della vita...del sangue stesso !
Il sole mi ha cercato nelle profondità della tomba,
più morto di un cadavere eppure sognante;
poi mi sono svegliato ai vapori della notte
e il tramonto mi ha spinto a uscire nel mondo.

Da secoli vago solitario nel mondo
dispensando un sembiante dell'amore....
un bacio rubato,poi di nuovo nella notte
pago della vita e del sangue.
E al mattino sono soltanto un sogno
un corpo freddo che gela sotto una pietra.

Ti ho detto che non avrei fatto del male.Sono fatto di pietra,
per lasciarti in pasto al tempo e al mondo ?
Ti ho offerto una verità al di là dei tuoi sogni
mentre tu potevi offrirmi solo il tuo amore.
Ti ho detto che andava tutto bene,e che il sangue
ha un sapore più dolciastro sulle ali della notte.

A volte i miei amori si alzano e camminano di notte...
A volte giacciono per sempre sotto una pietra
senza mai conoscere i piaceri del letto e del sangue,
o la dolcezza di una passeggiata tra le ombre del mondo;
e marciscono,invece,in mezzo ai vermi. Oh! Amore mio,
sussurravano che eri risorta,nel mio sogno.

Ti ho aspettata tutta la notte vicino alla tomba
ma tu non vuoi lasciare il tuo sogno per cercare il sangue.
Buonanotte,amore mio.Ti avevo offerto il mondo.

giovedì 12 maggio 2016

Dammi mille baci

Dammi mille baci
Una delle poesie più famose di Catullo, il Carme 5 è un invito alla vita e in particolare all'amore e alla passione. Il poeta invita l'amata Lesbia a baciarlo, ignorando i vecchi, che proprio per la loro avanzata età non possono comprendere la passione giovanile. Alla fine i baci saranno così tanti da confondersi e da confondere così anche gli invidiosi che cercheranno di "lanciare il malocchio" (importante è qui l'occhio come portatore di sfortuna) sugli amanti non riusciranno a sapere quanti baci si sono scambiati. Invito a vivere la vita al momento visto che al sole seguirà un'interminabile notte di tenebre.

 Godiamoci la vita, o Lesbia mia, e i piaceri d'amore;
a tutti i rimproveri dei vecchi, moralisti anche troppo,
non diamo il valore di una lira.
Il sole sì che tramonta e risorge;
noi, quando è tramontata la luce breve della vita,
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille e altri cento ancora.
Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia,
altereremo i conti o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio,
quando sappia l'ammontare dei baci.

lunedì 9 maggio 2016

Odio et amo

Odio et amo
La poesia più famosa di Catullo. Dedicata sempre all'amata Lesbia, qui il poeta parla del sentimento bivalente che nutre nei suoi confronti, la ama ma non può fare a meno di odiarla visto che la donna lo tradisce. Odio e amore diventano qui indissolubili. Questa è la messa in poesia della frase di Ovidio "nè con te né senza di te".

 Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile;
non so, ma è proprio così, e mi tormento

giovedì 5 maggio 2016

Ritorno a Sirmione

Ritorno a Sirmione
Meno conosciuta delle poesie dedicate a Lesbia, è un bellissimo componimento di Catullo dedicato a Sirmione, perla delle penisole, dove il poeta nacque e visse prima di andare a Roma. Qui troviamo tutta la nostalgia di chi è lontano da casa e desidera ritornare.

 Paene insularum, Sirmio, insularumque
Ocelle, quascumque in liquentibus stagnis
Marique vasto fert uterque Neptunus,
Quam te libenter quamque laetus inviso,
Vix mi ipse Thyniam atque Bithynos
Liquisse campos et videre te in tuto.
O quid solutis est beatius curis,
Cum mens onus reponit, ac preregrino
Labore fessi venimus larem ad nostrum
Desideratoque acquiescimus lecto.
Hoc est, quod unumst pro laboribus tantis.
Salve, o venusta Sirmio, atque ero gaude:
Gaudete Vosque, o Lydiae lacus undae:
Ridete, quidquid est domi cachinnorum.

 
O Sirmione, gemma di tutte le penisole e isole,
Tutte quelle che (isole e penisole) nei limpidi laghi
E nel vasto mare sostiene l'uno e l'altro Nettuno,
Quanto volentieri e con quanta gioia torno a vederti,
A stento credendo di avere finalmente lasciato la Tinia e
I campi Bitini e di vedere te salvo.
Ah che cosa c'è di più dolce dell'essere libero da preoccupazioni,
Quando l'animasi libera del peso, e
Stanchi della fatica del viaggio giungiamo alla nostra casa
E riposiamo nel letto desiderato.
Questa è l'unica ricompensa, in cambio di tante fatiche.
Ti saluto, o bella Sirmione, e godi per il padrone:
Godete anche voi, od onde lidie del lago:
Ridete, o voi tutte risate, che siete nella mia casa.

lunedì 2 maggio 2016

Ad Attide ricordando l'amica lontana

Ad Attide ricordando l'amica lontana
Poesia dedicata da Saffo alla propria amante. La poetessa si lascia andare alla malinconia ricordando Attide, fanciulla di grande bellezza, probabilmente sua allieva, ora lontana da lei. La poesia è tradotta da Salvatore Quasimodo.

 Forse in Sardi
spesso con la memoria qui ritorna
nel tempo che fu nostro: quando
eri Afrodite per lei e al tuo canto
moltissimo godeva.
Ora fra le donne Lidie spicca
come, calato il sole,
la luna dai raggi rosa
vince tutti gli astri, e la sua luce
modula sulle acque del mare
e i campi presi d'erba:
e la rugiada illumina la rosa,
posa sul gracile timo e il trifoglio
simile a fiore.
Solitaria vagando, esita
e a volte se pensa ad Attide:
di desiderio l'anima trasale,
il cuore è aspro.
E d'improvviso: "Venite!" urla;
e questa voce non ignota
a noi per sillabe risuona
scorrendo sopra il mare.

giovedì 28 aprile 2016

La cosa più bella

La cosa più bella su questa terra
Oggi voglio presentarmi una delle più belle liriche dell'antica Grecia. Scritta da Saffo, una delle poche donne di quel periodo storico di cui è rimasta memoria, la poesia tratta il tema della cosa più amata e la vede da un punto di vista tipicamente femminile, per lei la cosa più amata non è un oggetto in particolare e nemmeno un'armata di cavalieri o una flotta di navi, di grande importanza per gli antichi, ma la cosa amata. Contrappone così l'amore alla guerra.

 Dicono che sopra la terra nera
la cosa più bella sia una fila di cavalieri,
o di ospiti, o di navi.
Io dico: quello che s'ama.

 Meno conosciuta è il resto della lirica in cui si fa riferimento alla bellezza di Elena, da cui l'altro nome della poesia "L'amore di Elena" in cui viene detto che Elena va a Troia per seguire il proprio amore, la cosa per lei più bella. E Saffo ricorda con nostalgia la propria amante, che vorrebbe rivedere e preferirebbe la sua apparizione a quella dei carri da guerra.


Chiunque può capirlo facilmente:
colei che superava di molto
tutti i mortali per bellezza, Elena,
abbandonò lo sposo
il più eccellente degli uomini -

e fuggì a Troia per mare.
Dimenticò la figlia, dimenticò
i cari genitori.
Fu Afrodite a sviarla.

....
Così ora mi torna alla mente
Anattoria lontana.

Oh. preferirei rivedere
il suo amabile passo,
il candore splendente del viso,
piuttosto che i carri dei Lidi
e battaglie di uomini in armi.

lunedì 25 aprile 2016

L'adolescente

L'adolescente

Poesia della Szymborska in cui la poetessa si confronta con la sé adolescente. Che emozioni proveremmo se potessimo rincontrarci da ragazzine? Ci sarebbe un argomento di cui parlare? Oppure sarebbe come incontrare un estraneo? L’autrice dice di non provare affetto per la sé adolescente, con cui condivide solo data di nascita e parenti. Nemmeno il fisico è più lo stesso. La giovane sa poco ma è sicura di ciò che sa, l’adulta sa di più ma con minore certezza. Il concetto di tempo è diverso. È quasi un sollievo quando l’adolescente se ne va e unica cosa che lascia è la sciarpa fatta dalla madre che l’autrice riconosce e conserva con amore, unico legame con la propria precedente versione. 


Io un’adolescente?
Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,
dovrei salutarla come una persona cara,
benché mi sia estranea e lontana?
Versare una lacrimuccia, baciarla sulla fronte
per la sola ragione
che la nostra data di nascita è la stessa?
Siamo così dissimili
che forse solo le ossa sono le stesse,
la calotta cranica, le orbite oculari.
Perché già gli occhi è come fossero più grandi,
le ciglia più lunghe, la statura più alta
e tutto il corpo è fasciato
dalla pelle liscia, senza un’imperfezione.
In verità ci legano parenti e conoscenti,
ma nel suo mondo di questa cerchia comune
sono quasi tutti vivi,
mentre nel mio quasi nessuno.
Siamo così diverse,
i nostri pensieri e parole così differenti.
Lei sa poco -
ma con un’ostinazione degna di miglior causa.
Io so molto di più -
ma non in modo certo.
Mi mostra delle poesie,
scritte con una grafia nitida, accurata,
con cui io non scrivo più da anni.
Leggo quelle poesie, le leggo.
Be’, forse quest’unica,
se fosse accorciata
e corretta qua e là.
Dal resto non verrà nulla di buono.
La conversazione langue.
Sul suo modesto orologio
il tempo è ancora incerto e costa poco.
Sul mio è molto più caro ed esatto.
Per commiato nulla, un sorriso abbozzato
e nessuna commozione.
Solo quando sparisce
e nella fretta dimentica la sciarpa -
Una sciarpa di pura lana,
a righe colorate,
che nostra madre
ha fatto per lei all’uncinetto.
La conservo ancora.

giovedì 21 aprile 2016

Amore a prima vista

Amore a prima vista di Wislawa Szymborska


E se l’amore a prima vista in realtà non esistesse? Se fosse il frutto di innumerevoli incontri, già avvenuti dall’infanzia, di un destino che gioca con gli amanti avvicinandogli e allontanandogli? Questo sostiene questa poesia di Wislawa Szymborska. Forse c’è già stato un incontro in porta scorrevole, o un numero digitato male o una palla passata da uno all’altra. Perché fine e inizio nella vita umana sono collegati indissolubilmente.

 Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.
Non conoscendosi, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro
se non ricordano-
una volta un faccia a faccia
in qualche porta girevole?
uno ‘scusi’ nella ressa?
un ‘ha sbagliato numero’ nella cornetta?
- ma conosco la risposta.
No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio tempo
il caso giocava con loro.
Non ancora pronto del tutto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando una risata
con un salto si scansava.
Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o lo scorso martedì
una fogliolina volò via
da una spalla a un’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, forse già la palla
tra i cespugli dell’infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli
su cui anzitempo
un tocco si posava su un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.